lunedì 29 marzo 2010

Un’indilazionabile esigenza di cambiamento

Scrivo a urne appena chiuse. Scrivo, volutamente, a urne appena chiuse.

Ma anche a risultati non noti. Volutamente, a risultati non noti.

Scrivo di un’esperienza vissuta negli ultimi giorni di campagna elettorale, al cospetto di persone civilmente, socialmente e politicamente impegnate che mi hanno posto il problema che è rinsuonato anche dentro di me.

«Per cambiare questa politica, che anche la mia parte politica sta seguendo, tradendo princìpi e ideali che sono nel nostro modo di fare politica, la risposta che ho individuato è di non votare».

Domanda che mi sono posto anch’io, tradito da quella stessa politica che pur nello schieramento per me naturale, ha dato segni di cedimenti a volte intollerabili, comunque non condivisibili.

La politica degli affari prevale ormai in entrambi gli schieramenti. E in entrambi gli schieramenti prevalgono -e detengono il potere- i personaggi che ne sono i migliori interpreti.

Sempre più spesso mi viene da paragonare queste dinamiche di potere politico a quelle del potere mafioso.

Ma spero che sia un pensiero troppo allarmistico e poco reale.

A chi mi ha posto il dubbio su come segnalare il disagio, il dissenso, ho risposto che era necessario andare a votare per non far prevalere chi ci vuole ridurre a sudditi, chi ci vuole condurre sulla strada della xenofobia, del razzismo, delle chiusura, del declino…

Non so se li ho convinti. Lo sapremo in tarda serata.

Ma se davvero in futuro vorremo far crescere un movimento di dissenso sull’attuale sistema politico, ho suggerito loro non di non recarsi alle urne -pena l’essere confusi con la galassia degli indifferenti e degli ingoranti- ma di esercitare un diritto/dovere conquistato a duro prezzo con la Resistenza che ci ha regalato la Democrazia, inserendo nelle urne una scheda bianca (con il rischio di brogli) o, meglio ancora, nulla.

Se questa sera ci ritroveremo minoranza, consegnata e rassegnata alle idee più egoiste e retrive della nostra comunità, dovremo riorganizzarci in maniera urgente, inchiodando alle loro responsabilità coloro che ci hanno condotti a questa situazione.

Compresi i “duri e puri” che fanno prevalere la loro affermazione sugli interessi più diffusi. E che come ieri hanno fatto cadere il Governo Prodi, oggi impediscono al centro sinistra di vincere. L’idealismo dell’imbecillità che travolgerà anche loro.

Se vinceremo, magari per un soffio, dovremo tornare a fare politica sul territorio, tra la gente, senza inseguire i mondi paralleli che viaggiano sui canali televisivi controllati da chi ha idee e progetti di società e di futuro diametralmente opposti ai nostri.

A urne appena chiuse dico però che il malcontento che ho incontrato sul territorio deve trovare un canale forte in cui esprimersi.

Non è più tollerabile affidarsi a una classe dirigente che è omogenea e funzionale all’avversario.

Ê tempo di costruire qualcosa di nuovo che sappia realizzare prospettive, progetti e anche linguaggi totalmente innovativi rispetto al passato.

Le forze ci sono e sono preparate e motivate.

Ma occorre cercarle e metterle insieme azzerando la casta che non demorde, che non lascia spazi al rinnovamento, che non rinuncia a poteri consolidati, a privilegi che spesso si sommano nella stessa famiglia.

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